di conseguenza:
lo scenario "chimico" è sfondo dell’offensiva
mediatica nei confronti di qualsiasi sostanza o processo debba essere presentata
negativamente.
E così si spiegano i paradossi presenti tipicamente nelle pubblicità o nei telegiornali!
dov’è la disinformazione?
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la famigerata molecola d’acqua |
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dire che un additivo è "chimico" non significa niente,
perché tutto ciò che ci circonda è "chimico", se con
questo si intende che di qualsiasi sostanza è (in linea di principio) possibile esprimere la composizione.
Anche l’acqua è "chimica", la sua formula è ben
nota, ma un pubblicitario OSEREBBE MAI definirla sostanza "chimica"?
E’ chiaro che si confonde "chimico" con
"sintetico", seguendo un filo per cui, se una sostanza è
stata preparata artificialmente, un’industria ha inquinato per produrla, e quindi la sua composizione
può essere dannosa.
E dunque si contrappone a "chimico" l’aggettivo "naturale", ignorando il fatto che molte
sostanze prodotte in Natura sono veleni
molto più potenti di quelli ottenibili in laboratorio.
ma poco importa perché…
... l'essenziale nella pubblicità è
far passare l’idea che nessuno scienziato con il camice abbia contribuito alla messa a punto di quell’aroma, di quella
fragranza, o di quell’amalgama di delizie per il palato.
Chi volesse fare incetta di questi equivoci può leggere
periodicamente la rubrica di Gianni
Fochi sul mensile di informazione della Società Chimica Italiana, la Chimica e l’Industria, in cui
sono riportati strafalcioni e scivoloni chimici, anche da parte di prestigiose testate giornalistiche, rinomate case editrici,
usuali canali di informazione e persino testi per la scuola dell’obbligo!
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la chimica ieri |
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la chimica oggi |
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il risultato è …
l’ostinata riluttanza dei mass media ad avvalorare un’idea di RILANCIO della chimica, azione che oggi
questa disciplina meriterebbe certamente per l’impegno degli scienziati nei confronti dello sviluppo
sostenibile.
L'assenza di efficace comunicazione è sicuramente
imputabile anche alla
scarsa eloquenza dei chimici, alla loro innata
ritrosia a lasciare il laboratorio per irrompere nella società e nei mass media, alla poca attenzione a
migliorare l’impatto della loro figura professionale agli occhi di tutti. Per questi motivi,
sicuramente molto più luminosa è l’immagine di altri professionisti, quali medici, avvocati, giudici, notai,
ingegneri e architetti, e l’elenco è sicuramente più lungo.
…forse questo è un problema tipicamente italiano?
Risposta ardua, ma il lessico talvolta aiuta questo inganno! Un esempio?
In inglese, drug significa sia farmaco sia droga, vale a dire
qualsiasi sostanza in grado di influenzare la fisiologia dell’organismo, senza distinguere la valenza
positiva
(farmaco) da quella negativa (droga).
In italiano, l’esistenza delle due parole crea il facile tranello:
il medico è bravo perché ha a che fare con i farmaci; il chimico è cattivo perché ha a che fare con la droga. Ovviamente tutto falso,
perché solo la posologia (vale a dire la
dose di somministrazione) regola gli effetti di una sostanza assunta da un individuo, e, in ogni caso, dietro ogni buon
farmaco c’è sempre una valida equipe di scienziati che comprende sicuramente i chimici.
…concludiamo con un sorriso
Il chimico ungherese Horvàth ha firmato un simpatico editoriale del prestigioso Accounts of Chemical Research (anno 2002,
volume 35, numero 9). Lamentando un atteggiamento "snob"
da parte di professionisti dell’alta società di Budapest, quando a costoro si presentava come "chimico”, ha deciso di cambiare la sua "etichetta".
Così, a chi gli chiede quale sia il suo lavoro, risponde con un trionfale e propagandistico "molecular designer!", suscitando ammirati "wahoo!"
di meraviglia e ammirazione, in luogo dei soliti sorrisini di commiserazione che riceveva quando era soltanto un
"chimico".